Un relitto eccezionale del VII secolo a.C. sui fondali del Canale d'Otranto

Ogni relitto antico è una preziosa capsula del tempo, in grado di restituire informazioni e dati di grande importanza per la comprensione del passato, ma alcuni sono davvero eccezionali: è il caso del relitto alto-arcaico rinvenuto nel 2019 sui fondali del Canale d'Otranto, a una profondità di 780 metri e a 22 miglia dalle coste italiane, durante i lavori preliminare alla costruzione del TAP, li lungo gasdotto che alimenta l'Europa da Sud-Est. 

Il recupero, complessissimo vista la profondità del naufragio, e la prima documentazione dei materiali, ora in laboratorio, sono stati presentati alla comunità scientifica dalla Soprintendente Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, Barbara Davidde, in occasione del 60° Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto dal 23 al 26 settembre 2021. Oggi il Ministero della Cultura ha ufficializzato l'importante scoperta, dando appuntamento alle 9.45 del 16 ottobre per la pubblicazione di un video ufficiale in diretta Facebook.

Si tratta di un ritrovamento di eccezionale interesse archeologico: del carico dell’imbarcazione sono stati recuperati ventidue reperti  provenienti dalla regione di Corinto e databili alla prima metà del VII secolo a.C. Si tratta di tre anfore della tipologia corinzia A (una delle quali contiene ancora al suo interno dei noccioli d'oliva), dieci skyphoi di produzione corinzia, quattro hydriai di produzione corinzia, tre oinochoai trilobate in ceramica comune e una brocca di impasto grossolano. 
Molto interessante un grande contenitore ceramico, un pithos, al cui interno erano stipati almeno 25 skyphoi impilati in file orizzontali ordinate.  


Il piano di ricerche presentato dalla Soprintendente prevede nei prossimi mesi il restauro dei reperti, la realizzazione delle analisi archeometriche sui materiali e archeobotaniche su residui organici e vegetali ancora presenti nel sedimento che riempie molte delle ceramiche recuperate. Il recupero dell’intero carico, costituito da circa duecento reperti ancora sparsi sul fondale, costituirà una sfida fondamentale per i prossimi anni, e richiederà un impegno considerevole da parte del Ministero. La rilevanza della scoperta, d'altronde, di fatto un unicum in grado di chiarire le dinamiche del commercio marittimo in un orizzonte cronologico estremamente significativo e scarsamente documentato, giustifica lo sforzo.

Di seguito, le dichiarazioni ufficiali del Ministro Dario Franceschini, della Soprintendente Barbara Davidde e del Direttore Generale Musei Massimo Osanna.

«L’archeologia subacquea - ha dichiarato il ministro Dario Franceschini - pagina ufficiale - è uno dei settori di ricerca più importanti del nostro Paese su cui è necessario tornare a investire. Siamo un paese circondato dal mare e abbiamo un ricco patrimonio culturale sommerso che va ancora studiato, salvaguardato e valorizzato. Le recenti indagini del canale di Otranto confermano che si tratta di un patrimonio ricchissimo in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia».


«Le tecnologie solitamente utilizzate nell’ambito dei lavori della pratica subacquea industriale del comparto “oil & gas”, utilizzate sotto il controllo attento degli archeologi della Soprintendenza, hanno permesso di portare in superficie parte del carico del primo relitto databile all’inizio del VII secolo a.C. ritrovato nel mar Adriatico – ha spiegato la Soprintendente, l’archeologa subacquea Barbara Davidde e ha aggiunto – si tratta di un recupero di eccezionale importanza, anche per le tecnologie utilizzate per il recupero, realizzato nei mari italiani a quasi 800 metri di profondità». 


«La scoperta ci restituisce un dato storico che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia, meno documentate da rinvenimenti subacquei, e dei flussi di mobilità nel bacino del mediterraneo – ha spiegato il Direttore dei Musei, Massimo Osanna, che ha visitato il laboratorio di restauro della Soprintendenza nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, in occasione del 60° Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, e ha proseguito – è un carico intatto che getta luce sulla prima fasi della colonizzazione greca in Italia meridionale, grazie anche allo stato di conservazione significativo che ci permette di capire quello che trasportavano: non solo cibi come olive, ma anche coppe da vino considerate beni di prestigio e molto apprezzate anche dalle genti italiche».




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