Un relitto eccezionale del VII secolo a.C. sui fondali del Canale d'Otranto
Il piano di ricerche presentato dalla Soprintendente prevede nei prossimi mesi il restauro dei reperti, la realizzazione delle analisi archeometriche sui materiali e archeobotaniche su residui organici e vegetali ancora presenti nel sedimento che riempie molte delle ceramiche recuperate. Il recupero dell’intero carico, costituito da circa duecento reperti ancora sparsi sul fondale, costituirà una sfida fondamentale per i prossimi anni, e richiederà un impegno considerevole da parte del Ministero. La rilevanza della scoperta, d'altronde, di fatto un unicum in grado di chiarire le dinamiche del commercio marittimo in un orizzonte cronologico estremamente significativo e scarsamente documentato, giustifica lo sforzo.
«L’archeologia subacquea - ha dichiarato il ministro Dario Franceschini - pagina ufficiale - è uno dei settori di ricerca più importanti del nostro Paese su cui è necessario tornare a investire. Siamo un paese circondato dal mare e abbiamo un ricco patrimonio culturale sommerso che va ancora studiato, salvaguardato e valorizzato. Le recenti indagini del canale di Otranto confermano che si tratta di un patrimonio ricchissimo in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia».
«Le tecnologie solitamente utilizzate nell’ambito dei lavori della pratica subacquea industriale del comparto “oil & gas”, utilizzate sotto il controllo attento degli archeologi della Soprintendenza, hanno permesso di portare in superficie parte del carico del primo relitto databile all’inizio del VII secolo a.C. ritrovato nel mar Adriatico – ha spiegato la Soprintendente, l’archeologa subacquea Barbara Davidde e ha aggiunto – si tratta di un recupero di eccezionale importanza, anche per le tecnologie utilizzate per il recupero, realizzato nei mari italiani a quasi 800 metri di profondità».
«La scoperta ci restituisce un dato storico che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia, meno documentate da rinvenimenti subacquei, e dei flussi di mobilità nel bacino del mediterraneo – ha spiegato il Direttore dei Musei, Massimo Osanna, che ha visitato il laboratorio di restauro della Soprintendenza nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, in occasione del 60° Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, e ha proseguito – è un carico intatto che getta luce sulla prima fasi della colonizzazione greca in Italia meridionale, grazie anche allo stato di conservazione significativo che ci permette di capire quello che trasportavano: non solo cibi come olive, ma anche coppe da vino considerate beni di prestigio e molto apprezzate anche dalle genti italiche».
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