Relitti nel buio: nuove ricerche in alto fondale nelle acque del Tirreno
Relitti nel buio, a oltre 600 metri di profondità nelle acque del Tirreno: se ne sta occupando ora l'Università Ca' Foscari di Venezia, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno e con la Fondazione Azionemare dell'ingegner Guido Gay, che da anni esplora le grandi fosse abissali comprese tra Toscana, Liguria e Corsica, sfruttando minirobot e raffinate tecnologie.
Riportiamo di seguito il comunicato dell'ateneo veneziano sulle più recenti indagini di esplorazione in alto fondale, che hanno visto la partecipazione di Elisa Costa, assegnista di ricerca su due progetti coordinati da Carlo Beltrame; tra i relitti indagati si segnalano il Dae37, una navis lapidaria romana oggi posata a 280 metri di profondità con il suo carico di marmi, accompagnati da anfore vinarie Dressel 2-4 di I secolo d.C. (due delle quali sono state recuperate), e il Dae27, affondato a Pianosa con un carico di anfore Dressel 1, tegole e coppi, e oggi giacente a 640 metri di profondità.
Robot abissali in archeologia marittima: una collaborazione fruttuosa
Un grosso carico di marmo e di anfore romane ed un relitto raro e perfettamente conservato all’interno di una fossa a 640 m di profondità nel mar Tirreno: questi gli elementi che hanno permesso di mettere in gioco una tecnologia avanzata di una fondazione di ricerca e la competenza scientifica del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari per arrivare a risultati di indagine subacquea finora difficili da raggiungere.
Nell’agosto 2020, Elisa Costa, assegnista di ricerca presso il Dipartimento, si è imbarcata sul catamarano Daedalus, dell’ing. Guido Gay della Fondazione Azionemare, nell’ambito dei progetti “Le rotte del marmo antico” e "Fotogrammetria digitale in archeologia subacquea" del professor Carlo Beltrame.
La collaborazione, possibile grazie alle autorizzazioni della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, era nata nell’estate del 2019 per sperimentare la tecnica fotogrammetrica automatica sul relitto Dae37, imbarcazione romana con un grosso carico di marmi affondata a poche miglia a Nord Ovest dell’isola della Gorgona, a 280 m di profondità. Su questo e su un altro relitto a profondità maggiore si sono concentrate le indagini di quest’anno.
Il rilievo è stato realizzato con l’impiego del ROV abissale Multipluto, il quale, attraverso una navigazione comandata da remoto, ha documentato il relitto con strisciate parallele e sovrapposte in modo da rappresentare i particolari del carico, composto sia da grandi blocchi di marmo che da alcune anfore Dressel 2-4 del 1° secolo d.C. La fotogrammetria è stata quindi realizzata attraverso l’estrapolazione e l’allineamento di centinaia di frame dal video, al fine di ottenere un modello tridimensionale scalato e misurabile del carico.
Nel 2020, la missione archeologica ha previsto il recupero di due esemplari dei due tipi di anfore Dressel 2-4 presenti su questo primo relitto per permetterne un più agevole e analitico studio; le anfore, sbarcate a Capraia per le operazioni di dissalazione e conservazione da parte della restauratrice Nawal Menad, sono state misurate e documentate anch’esse con la tecnica fotogrammetrica.
Inoltre, vista la qualità della documentazione realizzata nel 2019, si è deciso di effettuare una missione su un secondo relitto, il Dae27, al largo dell’isola di Pianosa. La conformazione di questo contesto, con un carico perfettamente integro - cosa molto rara a causa dell’impatto della pesca a strascico che non risparmia nulla fino ad un migliaio di metri - di anfore Dressel 1, tegole e coppi, ha permesso la documentazione di un sito archeologico raro e perfettamente conservato all’interno di una fossa a 640 m di profondità; allo stesso tempo, la difficoltà del rilievo è risultata maggiore proprio a causa del grande numero di reperti e del loro dettaglio, che hanno richiesto migliaia di frame, per riuscire a rappresentare il carico nel dettaglio. Il rilievo è stato realizzato sempre attraverso le immagini riprese dal ROV Multipluto, che in questo caso, ha eseguito delle strisciate radiali e concentriche, per seguire la conformazione a cumulo del relitto. Il relitto rappresenta una testimonianza rara di trasporto a lungo raggio di materiale laterizio da costruzione in un periodo collocabile provvisoriamente intorno nel 2° o 1° secolo a.C.
La collaborazione con l’ing. Guido Gay, titolare della fondazione nonché produttore e pilota dei robot, e con la Soprintendenza toscana è estremamente preziosa poiché permette di ampliare il campo di ricerca dell’archeologia subacquea, andando a indagare relitti affondati a profondità non raggiungibili se non con i suoi ROV abissali. In Italia, questa esperienza di collaborazione si può considerare come unica, perlomeno per l'ambito dell’archeologica marittima.
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